Un “contenitore di cultura” in legno di Mürasc

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Nel maggio scorso sono iniziati i lavori di costruzione dell’edificio che ospiterà gli oggetti del Museo poschiavino finora depositati in magazzini a causa della mancanza di spazio nelle due sedi museali. Il progetto del nuovo stabile è opera di Urbano Beti, che ne spiega forme e caratteristiche.

Dove sorge esattamente il Centro di conservazione?
Il nuovo spazio di conservazione ed espositivo dedicato alle collezioni etnografiche regionali sorge su una particella ad est del Centro preindustriale di Aino, S. Carlo, fra il fiume Poschiavino e la gora che alimenta il mulino e la segheria. Su questo terreno, acquistato di recente dal Museo poschiavino, c’era una piccola falegnameria dismessa da anni, ora smantellata.

Com’è nato il tuo progetto?
Il perimetro a disposizione era limitato, quindi le dimensioni del nuovo edificio erano date: rispecchiano quelle della vecchia falegnameria, fatta eccezione per un’altezza e una profondità maggiori. Mi è stato chiesto di progettare uno spazio che fungesse da “contenitore” per oggetti che attestano il passato della Valposchiavo. Un contenitore, dunque, come una scatola, un baule, una gerla, un cesto… un cesto, appunto, intrecciato, e da qui è nata l’ispirazione di proporre una struttura di legno a intreccio. Struttura del resto già presente anche nella tecnica costruttiva di nazioni come il Giappone e l’Africa. L’intreccio, inoltre, crea – se visto in orizzontale – un effetto a onde, che ricorda le onde calme e regolari dell’acqua della gora nelle immediate vicinanze, così come le onde del lento scorrere del tempo, di cui i beni conservati sono testimoni. Dunque, rifacendomi anche al pensiero di un grande architetto del Novecento come Adolf Loos, mi piaceva l’idea che l’aspetto esterno dello stabile richiamasse il suo scopo e l’ambiente in cui è inserito. E poi volevo utilizzare materiale del posto. Il legno si presta alla perfezione, sia dal lato costruttivo, sia vista l’enorme disponibilità che si è creata l’autunno scorso dopo la caduta di migliaia di piante in Valposchiavo a causa di una disastrosa tempesta di vento.

Ci descrivi il nuovo edificio?
Lo stabile è estremamente semplice: è un parallelepipedo alto circa 9 m, poggia su uno zoccolo di calcestruzzo e si chiude con un tetto in lamiera. Ha un’unica entrata a sud e nessuna finestra, perché – per una conservazione ottimale – gli oggetti ospitati non devono essere esposti alla luce naturale e l’ambiente deve essere il più asettico possibile. Nei locali si devono garantire anche una temperatura e un grado di umidità adeguati ai vari materiali presenti. Le uniche “aperture” progettate sono due specie di lanterne, una sulla facciata ovest e una su quella est, chiuse internamente ma illuminate con luce artificiale in modo che si vedano dalla strada e richiamino l’attenzione sull’edificio.

Esatto, la caratteristica principale dell’edificio è proprio il suo intreccio di tavole di legno ricavate dagli innumerevoli larici sradicati dalla recente tempesta. Le piante sono state scelte e segate da Bernardo Tuena, grande conoscitore del legname della nostra regione. Nella fattispecie si tratta di legno rigatino, ossia di tronchi cresciuti lentamente in altitudine e quindi con venature molto ravvicinate: un legno molto compatto e pressoché privo di nodi.  Le tavole, di 10 cm di larghezza e 22 mm di spessore, intrecciate con elementi orizzontali, sono state composte in elementi prefabbricati fissati poi alla struttura. Mi piace sottolineare che questo legno viene dalla zona Mürasc, sopra i monti di Torn, proprio dove ha la casa Giampietro Crameri, per decenni l’anima del restauro e della gestione del Mulino Aino accanto a cui sorge il nuovo edificio.

Come sono concepiti gli spazi interni?
La costruzione si sviluppa su tre piani aperti. Il pianterreno ospita una ricezione, un bancone di lavoro, il locale di decontaminazione, oggetti di grandi dimensioni – come carri o aratri – e un gabinetto, accessibile dall’esterno perché a disposizione pure dei visitatori del Centro artigianale. I due piani superiori, di cui quello centrale è dotato di una galleria che corre su metà del perimetro, sono riservati alla collocazione degli oggetti da conservare, visibili anche al pubblico. Delle scale scorrevoli sulle pareti permettono di accedere agli scaffali più alti e un paranco elettrico consente di sollevare oggetti pesanti dal pianterra ai piani alti.
All’interno viene utilizzato un materiale unico, industriale, quindi a costo contenuto, che non richiede grandi costi di manutenzione. Nel complesso si tratta un’opera sobria e in sintonia con il contesto.

A che punto sono i lavori?
I lavori sono cominciati in maggio con la demolizione della falegnameria esistente e la posa delle fondamenta del nuovo edificio. Parallelamente sono state tagliate e lavorate le tavole di legno per le pareti. Nel corso dell’estate è stata eretta la struttura e realizzate le pareti intrecciate. La costruzione grezza è ora pressoché finita. Nelle prossime settimane si lavorerà agli interni, che saranno poi allestiti durante l’inverno. Tutti i lavori sono affidati a ditte e artigiani locali. Il progetto, quindi, sovvenzionato per lo più da sostegni provenienti da fuorivalle, crea un indotto non indifferente nella regione. L’inaugurazione del nuovo Centro è prevista per la prossima primavera.

Un progetto al quale ti sei affezionato.
Sì, sono soddisfatto del progetto. Concepirlo è stata una sfida laboriosa ma particolarmente interessante, perché si tratta di un edificio fuori dal comune per la sua vocazione. Io, poi, sono cresciuto con il Mulino Aino, che tra l’altro apparteneva a miei antenati. E ho seguito il processo di recupero del Centro artigianale di Aino, al quale ora, con il nuovo Centro di conservazione, si aggiunge un tassello in più. Questa è una storia che fa parte di me.

Il prezioso lavoro del progettista Urbano Beti, responsabile dell’Ufficio edilizia privata del Comune di Poschiavo, è un contributo del Comune alla realizzazione del nuovo Centro di conservazione molto apprezzato da parte del Museo poschiavino.

 

Alessandra Jochum-Siccardi, Museo poschiavino

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