Per i 200 anni della morte del Barone Tommaso Francesco Maria de Bassus

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Un approfondimento di Massimo Lardi


 

 

Ricorre quest’anno il 200° anniversario della morte del Barone Tommaso, il personaggio principale del casato de Bassus, al quale l’anno scorso il Museo Poschiavino e l’Hotel Albrici hanno dedicato la mostra “Dai Bassi ai de Bassus” e lo spettacolo “Il Barone Utopia”, mentre la baronessa Margarete ha offerto in suo onore un magnifico concerto sull’organo Serassi nella Chiesa riformata di Brusio. Siccome quest’anno, per detta ricorrenza, il Museo ripropone la mostra e l’ultima Baronessa della dinastia offre di nuovo un concerto sullo stesso organo, ritengo opportuno rinfrescare brevemente la memoria di questo personaggio, tenendo particolarmente conto della percezione che ebbero di lui i suoi contemporanei in patria. Nato nel 1742 e morto nel 1815, il Barone attraversa da protagonista uno dei periodi più turbolenti della nostra storia. Inizia la carriera politica nel 1767 quando il mondo è già in fermento in virtù delle filosofie dell’Illuminismo, di Voltaire, Montesquieu e degli enciclopedisti francesi, di Cesare Beccaria e di Gaetano Filangieri ecc., e vari governi stanno attuando importanti riforme: l’imperatrice Maria Teresa abolisce la tortura; numerosi Paesi, fra cui l’Austria, ottengono la soppressione dell’ordine dei Gesuiti ritenuto troppo potente. L’imperatore Giuseppe II, sull’onda di idee da noi conosciute grazie alla “Predica del Progresso “ di don Benedetto Iseppi, ma già allora propagate dall’Arcivescovo Principe di Salisburgo, introduce profonde riforme nell’amministrazione e nella Chiesa dell’impero attuando l’abolizione di centinaia di conventi di frati e di suore. In America le colonie inglesi si ribellano alla corona britannica e fondano gli Stati Uniti d’America nel 1776. Nello stesso anno un certo Adam Weishaupt, compagno di studi di Tommaso, fonda la società segreta degli Illuminati di Baviera, che in pochi anni porterà grande scompiglio in mezza Europa. Goethe pubblica I dolori del Giovane Werther, il romanzo che dal punto di vista delle generazioni future segna un generale rinnovamento letterario, ma che dalla censura civile ed ecclesiastica del tempo viene considerato l’apologia del suicidio e quindi proibito. Il governo più assoluto e meno incline al rinnovamento è quello francese, per cui nel 1789 scoppia la Rivoluzione con tutta la sua violenza. Seguono le guerre napoleoniche che segneranno per noi l’inizio di una nuova era, con il distacco della Valtellina nel 1797 e la conseguente confisca reta, la perdita dell’autonomia della Repubblica delle Tre Leghe e l’adesione alla Confederazione elvetica nel 1803.

Questi avvenimenti si seguono con trepidazione anche a Poschiavo, seppure con qualche ritardo data la limitatezza degli organi di informazione di allora. A Poschiavo esiste un solo convento, ma è amato, considerato dalla popolazione cattolica un’istituzione religiosa da proteggere gelosamente. È facile immaginare lo scandalo per la nostra gente e il nostro clero, l’avversione che suscita il monarca responsabile della soppressione di tanti monasteri. Un’esecrazione ben documentata fra l’altro in un manoscritto di poesie latine di don Francesco Rodolfo Mengotti (1709-1790), zio della moglie Cecilia del Barone, prevosto di Poschiavo dal 1749 al 1757 e ritiratosi a vita privata per ragioni di salute. Arroccato su posizioni controriformistiche, assolutamente ligio a Roma, condanna senza appello i protagonisti di detti avvenimenti. Annota di Voltaire che è un fannullone, un dissipatore. Lo contrappone a uno storico oggi totalmente dimenticato di nome Nonnotte, dicendo che questi è uno «storico veramente cattolico, mentre Voltaire è un buono a nulla: Nonnotte è il giorno, amante della fede, un vero Bossuet amante del vero; Voltaire le tenebre, nemico atroce della fede, uno scaltro Ulisse amante dell’astuzia».

Particolarmente dure e sarcastiche sono le osservazioni di don Rodolfo in prosa e in distici latini in merito all’imperatore Giuseppe II. Denuncia che nell’impero ha abolito 413 conventi di monaci, 211 monasteri di monache. Dunque nientemeno che 624 ne ha aboliti l’empio Imperatore d’Austria Giuseppe, secondo a nessuno. Perché a grave detrimento della santa religione sopprime così tanti luoghi sacri costruiti dalla pietà? Li sopprime per incamerarne i beni. Chi rapisce i beni dei conventi è degno di

scomunica, è un rapinatore sacrilego, massacratore dei poveri. Nel cuore del monarca austriaco albergano vizi opposti: da avaro si prende le ricchezze degli altri e da grande scialacquatore le sperpera. Ciò che si lucra malamente si dilapida in fretta. E quanto ai simboli dell’Imperatore che dovrebbero stimolare la virtù e servire di esempio? Lo sono solo per sbaglio in quanto quello scomunicato di virtù è privo e come esempio va assolutamente rifiutato. È un cattolico finto e un eretico manifesto, che maltratta e tormenta i cattolici e asseconda e incoraggia gli eretici. Tollera quelli che vanno innalzati e innalza quelli che vanno tollerati.

Negli anni ottanta del Settecento anche a Poschiavo circola il seguente aneddoto sul conto dell’Imperatore Giuseppe II. A Vienna, in occasione dell’inaugurazione dell’ospedale dei dementi, su un biglietto affisso alle porte si trovò scritto: «L’imperatore Giuseppe è ovunque secondo, ma qui è primo». Don Rodolfo lo commenta esplicitamente nel suo manoscritto: «L’imperatore Giuseppe è ovunque secondo: ma è il primo del manicomio appena costruito. È evidente in ogni cosa che la sua mente vacilla; è pertanto scandalo e favola del mondo. Lui stesso è franco muratore e di essi patrono, poiché li ha resi liberi: per cui agisce sempre male».

È evidente che queste annotazioni rispecchiano l’opinione pubblica dei tempi del Barone de Bassus a Poschiavo. Se fatti da lungo dimenticati mossero tanto le acque, è facile immaginare quanto sconvolgenti dovessero essere le notizie riguardanti la Rivoluzione francese, un fatto ancora oggi vivo nell’immaginario collettivo. Prima di chiudere gli occhi, l’anno stesso in cui la Rivoluzione scoppiò, Don Rodolfo fece ancora in tempo a documentare l’atroce avvenimento in esametri e pentametri alcuni dei quali, tradotti liberamente, recitano: «Del presente infelice stato del Regno di Francia. Con la guerra civile i francesi si preparano la propria rovina e il proprio tramonto. Impugnando la spada vincitrice contro le proprie viscere, distruggono se stessi e devastano le loro ricchezze. Non c’è alcun ordine, tutte le cose sono sottosopra, in ogni azione c’è un torbido orrore. Il re è senza forza, il regime senza legge, la plebe senza freno, l’esercito senza armi, e l’erario è vuoto di denaro. La guerra intestina è violenta, funesta senza soldati, una discordia feroce senza speranza di pace. Il sangue regale, il re e la famiglia, vagano per il mondo; di essi la plebe reclama dappertutto la testa…».

Oltre che commentare ciò che succede in Francia, con questi versi don Rodolfo anticipa quella che sarà la situazione in Europa e a Poschiavo nei prossimi 25 anni, cioè fino al 1815, la sconfitta definitiva di Napoleone, che è anche l’anno della morte del nostro Barone. Ora a noi interessa ricordare quale sia stato il comportamento del medesimo attraverso questo mare in tempesta, e quale il suo rapporto con la popolazione sia prima della Rivoluzione, sia dopo e durante il periodo napoleonico.

Tommaso Francesco comincia la sua carriera politica nel 1767 all’età di 25 anni con il semplice cognome borghese di Bassi – così almeno figura nei registri comunali – ma con le migliori credenziali grazie alla discendenza patrizia, alle importanti parentele in patria e all’estero, al matrimonio con Maria Domenica Massella, chiamata Cecilia, ai brillanti studi compiuti all’università dei Gesuiti di Ingolstadt e al praticantato presso il Tribunale supremo di Monaco di Baviera. Sui quarant’anni, ha inoltre la fortuna di ereditare l’importante patrimonio insieme al titolo nobiliare dai lontani cugini trapiantati in Baviera nel ‘600 ed estinti intorno al 1780.

Quale podestà, deputato alla Dieta grigione e assistente all’Ufficio di Tirano, Tommaso si conquista presto la simpatia e la fiducia della gente con vari successi memorabili: l’arresto e la pronta condanna dell’autore dell’atroce omicidio di Franz Kaiser alle Glere; la difesa di Andrea Francesco Nazzaro contro il Podestà grigione; la particolare cura del Passo del Bernina e altri successi che gli fruttano la nomina nel Tribunale delle Tre Leghe, la rinomina a podestà di Poschiavo nonché la nomina a podestà di Traona. Ma è inevitabile che di pari passo cresca il numero dei suoi antagonisti e nemici politici, in particolare della fazione cattolica.

Proprio in quegli anni il podestà Tommaso Bassi, diventato barone de Bassus in virtù della

succitata eredità, animato dalle idee filantropiche del suo tempo, in particolare dall’ideale di migliorare le condizioni di vita del popolo e convinto che il modo migliore per raggiungere l’obiettivo sia l’educazione e la divulgazione della cultura, si serve dei suoi mezzi per fondare a Poschiavo una stamperia. La affida a collaboratori alquanto aperti alle nuove idee, Giuseppe Ambrosioni e Baldassarre Zini. Innalza a suo consulente editoriale il suo amico trentino Carlantonio Pilati, perseguitato politico a causa di un libro messo all’indice, intitolato Di una riforma d’Italia ossia dei mezzi di riformare i più cattivi costumi e le perniciose leggi d’Italia. Contemporaneamente Tommaso aderisce alla società segreta dell’amico di studi Adam Weishaupt, che lo prega “di dare peso alla medesima dall’esterno. Ne diventa così il cofondatore. La stamperia comincia allora a sfornare una serie di libri: libri educativi come Più necessarie cognizioni pei Fanciulli, importante libro scolastico scritto dal Barone stesso, libri di viaggi come Lettere scelte del Sig. ***viaggiatore filosofo tradotte dal Tedesco. Ma oltre a ulteriori libri al di sopra di ogni sospetto sforna opere considerate allora scandalose come la prima traduzione in italiano dei Dolori del giovane Werther, Lettera Pastorale di S. A. Reverendissima Arcivescovo e Principe di Salisburgo” (sostenuta dall’Imperatore Giuseppe II), Perché Pio VI. andò a Vienna, Traduzione dal Tedesco, nonché Trattato del matrimonio, e della sua Legislazione di Carlantonio Pilati, in cui postula maggiore flessibilità nei casi di divorzio, pur rimanendo su posizioni superate oggi dalla Chiesa stessa.

 

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A questo punto de Bassus viene considerato da molti divulgatore delle nuove idee, sostenitore dell’imperatore sacrilego Giuseppe II. Poco importa che a Poschiavo quei libri vengano letti da pochissime persone; tutti ne parlano e portano alla memorabile beffa dei “libercoli scellerati” la notte di Natale del 1783, allo scambio di lettere infuocate, ma illuminanti, tra il Barone e il prevosto Giuseppe Maria Ronchi. A questo punto anche don Rodolfo Mengotti sembra proiettare sul Barone l’ostilità accumulata contro l’Imperatore. Della tipografia preconizza una brevissima durata: «De Pesclaviensis Typographiae: (Pesclavii Typus aùt sero, vel tempore nullo /fiet, nec nostro tempore visus erit). La considera uno sperpero inaudito di denaro, la rovina della famiglia; una previsione che sembra avverarsi al momento in cui a de Bassus vengono sequestrati i beni in Baviera per il suo sostegno dato all’Ordine degli Illuminati. E – proprio quello che oggi appare agli occhi di molti un gran vanto – l’aver fatto parte e aver contribuito alla fondazione e alla diffusione di detto ordine è lo scandalo degli scandali.

Ecco le parole, liberamente tradotte dal latino, di don Rodolfo a pagina 160 del suo manoscritto:

«1787: Riguardo a un celebre scialacquatore che dissipò parecchi anni fa il proprio patrimonio familiare.

Tuttocompera, così succede che venda tutto:
vende anche ciò che compra, perde anche ciò che ha.
Qui vendette molto, ora tutto gli viene tolto colà (in Baviera).
È indebitato fino al collo; così la casa è quasi in rovina.
Da solo demolisce quasi il grande patrimonio di quattro case,
e prodigo com’è sperpera da solo le ricchezze ben acquistate.

(Bassi, Margarita, Massella, Mengotti)».

E aggiunge:

«Perché sperperi le ricchezze per sembrare grande? Quanto più vuoi
apparire grande, tanto più piccolo sarai.
Da capo a piedi il R… è rustico:
agisce come se gli altri traessero la loro origine dall’ano».

Infine don Rodolfo annota: «Corre voce che sia socio della setta degli Illuminati, del ‘Ceto degli Irradiati: un cieco guidato dai ciechi cade nella fossa». Questa annotazione del 1787, fa pensare che a Poschiavo l’affiliazione di de Bassus all’ordine degli Illuminati fosse effettivamente rimasta segreta fino allora.

È il momento in cui il Barone ha toccato il fondo e sembrerebbe per sempre rovinato. Ma solo una delle pessime previsioni del prevosto e dei suoi detrattori, cioè la breve durata della tipografia, si

avvererà, mentre le altre saranno smentite dai fatti. Nel giro di otto mesi il Barone vincerà il processo contro il Tribunale speciale di Monaco, in Baviera recupererà il suo prestigio per essere riconosciuto leale nei confronti del Principe elettore, riavrà tutti i beni e i titoli sequestrati e continuerà la carriera politica in Baviera e nei Grigioni. Nella terra di trapianto troverà la migliore sistemazione possibile per il figlio Giovanni Maria e per le figlie Caterina e Costanza. L’ultima figlia, Anna Maria, si unirà in matrimonio con il nobile valtellinese Giambattista Venosta, un’unione voluta dal de Bassus per rafforzare i legami politici con la vicina Valle. E stando all’entità delle imposizioni di guerra pagate per il Comune all’inizio dell’Ottocento, il Barone risulta essere comunque l’uomo più ricco della Valle.

Di tutto questo non si trova ovviamente alcun accenno nel manoscritto del prevosto Mengotti che muore poco dopo lo scoppio della Rivoluzione. Durante il periodo napoleonico invece il Barone sarà nominato ancora due volte podestà di Poschiavo e deputato alla Dieta nel 1794, rispettivamente al Gran consiglio Grigione nel 1803. Si batterà come un leone per evitare il distacco della Valtellina, sarà nominato consultore dei Paesi sudditi, per i ricorsi dei medesimi contro i rispettivi podestà e governatori; sarà nominato dalla deputazione di Stato come intermediario per trattare con il rappresentante imperiale, contribuirà a gettare le basi per la fondazione di una scuola pubblica, la futura Scuola cantonale.

Perde in quegli anni l’amata moglie e l’altrettanto amata figlia Maria Costanza, baronessa von Lilien. Con il distacco della Valtellina e la confisca reta perde gran parte dei possedimenti in Valtellina. Ma non si piega sotto i colpi della sfortuna. Riuscirà a recuperarne gran parte mediante trattative dirette con il Conte Melzi di Meril, ministro della Repubblica Cisalpina prima, del Regno d’Italia poi.

La prova più grande del suo prestigio si ha proprio nel momento in cui il Barone è impegnato in Baviera come commissario di guerra, mentre Poschiavo è alla disperazione per l’invasione a ondate successive di truppe cisalpine, francesi e austriache, per i saccheggi, le spoliazioni e le insopportabili imposizioni di guerra e il blocco dei viveri. Verso il Natale del 1798, siccome non funzionano più le poste, il Comune di Poschiavo invia una delegazione composta di tre persone con alla testa Antonio Giuliani (riformato) al castello di Sandersdorf in Baviera con la consegna di riportare il barone in patria per trattare con l’ufficialità imperiale, il governo di Coira, con quello di Milano per il dissequestro dei beni e l’abolizione del blocco dei viveri finalizzato a costringere la Val Poschiavo ad aderire alla Cisalpina, nonché per spartire le spese del Comune in modo equo su tutta la popolazione ed evitare una guerra civile. Al momento il Principe elettore non gli permette di lasciare il suo posto di commissario siccome imperversa la guerra anche in Baviera. Allora il Barone si assume tutte le spese della delegazione e consegna ad essa una lettera all’indirizzo del Comune in cui esprime il suo rammarico di non poter dar seguito all’invito, ma promette di fare ritorno il più presto possibile per portare il suo aiuto. Raccomanda caldamente di non cedere alle pressioni della Cisalpina e di rimanere fedeli alle Tre Leghe. Due anni dopo tornerà in patria, sarà Podestà per la sesta volta e contribuirà in modo essenziale al traghettamento dello Stato delle Tre Leghe nella Confederazione svizzera, opererà una spartizione equa delle spese di guerra pagando personalmente il contributo più alto. Insieme ad altri adatterà gli statuti di Poschiavo alla nuova situazione politica.

Rimarrà in Valle fino al settembre 1810, alternando il suo soggiorno a Poschiavo con lunghi periodi presso la figlia Anna Maria Venosta a Villa di Tirano. Ma ormai è ammalato di podagra. Si trasferisce in Baviera dove vive ancora 5 anni amorevolmente attorniato dalla figlia Contessa Maria Caterina, vedova von Seinsheim, dal figlio Giovanni Maria e dai nipoti. «Si spegne serenamente il 16 settembre 1815 alle ore 6 e mezzo di sera nel suo castello di Sandersdorf, dopo aver ricevuto i santi Sacramenti» come comunica il figlio nella sua partecipazione di morte. Riposa sul sagrato della chiesa parrocchiale di Mendorf, uno dei suoi feudi, insieme a molti suoi discendenti.

De Bassus

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